Motocross VS Paraloup
Qualche mese un nostro lettore aveva proposto una riflessione sulla specificità sonora della montagna, spesso deturpata da “suoni rumorosi e disturbanti”: corse con i Quad, motonautica, coppe d’oro automobilistiche, dj d’alta quota, raduni motociclistici, musica commerciale in malga e rifugio, volo turistico in elicottero solo per fare alcuni esempi. Oggi quella stessa riflessione viene ripresa da Giuseppe Leyduan che, sul suo blog, racconta l’”amara esperienza” vissuta a Paraloup, “difesa dai lupi” ma non anche dai mezzi motorizzati.
Paraloup, “difesa dai lupi” ma non dai mezzi motorizzati.
Nel post su questa zona alpina ricca di valenze storiche attinenti alla nostra libertà, fondamentale ed imprescindibile bene comune della democrazia, non ho parlato di un aspetto vergognoso, ovvero di chi utilizza i sentieri e le sterrate di montagna, che ci consentono di conoscere e respirare i luoghi della Resistenza, come appunto lo sono Paraloup e il Monte Tamone, alla stregua di piste da motocross.
Il 24 novembre scorso – ed è la prima volta che mi capita da quando compio escursioni sulle Alpi – mi ci sono trovato di fronte: mi provoca molta amarezza pensare che certi comportamenti odiosi si manifestino proprio in ambienti che non meritano questa stolta indifferenza. Comportamenti che, oltre a deturpare e a disturbare, banalizzano e degradano la montagna.
Ma non c’è una legge in Piemonte (Art. 11 della Legge regionale 2 novembre 1982, n. 32) che vieta di compiere percorsi fuoristrada con mezzi motorizzati (e qui l’elenco è lungo, visto l’amore sfrenato e senza limiti della nostra civiltà per tutto quello che consuma petrolio, inquina e provoca fracasso, ovvero trial, moto da cross, quad, fuoristrada, motoslitte, una bella varietà di simboli dello sviluppo economico)? Oppure tale divieto vige solo per i sentieri e le mulattiere? E invece, senza specifico divieto per quanto riguarda le strade sterrate, tutto è permesso? E’ permesso anche profanare indisturbati, al di là delle leggi, luoghi carichi di valore simbolico, luoghi giusti, luoghi produttori di silenzio: il silenzio della memoria, della riflessione, dell’umanità che cerca scampoli di salvezza in coloro che hanno messo a disposizione la loro vita per i sommi valori della nostra esistenza?
Tutto è permesso senza limiti? Ma un luogo così importante per la memoria collettiva, la memoria di una nazione che ha combattuto gli oppressori, non deve essere tutelato? Mi rivolgo soprattutto alle istituzioni (a cui ho inviato questo articolo) come i comuni, le provincie e anche la nostra Regione. Davvero non si può fare niente per evitare di assistere all’avanzata della “civiltà” motorizzata proprio in questi luoghi che meritano il massimo rispetto? Il massimo silenzio possibile, almeno da parte di noi umanoidi? Nel XXI secolo è veramente così arduo riuscire a regolamentare questa attività fatta con mezzi che comunque hanno un impatto, non solo ambientale? Non è possibile, per esempio, dedicare aree ad hoc per chi ama divertirsi in questo modo, senza appestare indiscriminatamente, e in modo alquanto odioso, la montagna e coloro che in essa vi hanno trovato la libertà? O forse dobbiamo credere, come sovente succede nel nostro Paese, che difendere i luoghi della memoria significa soprattutto dipingersi di un colore politico? Ma la libertà non ha nessuna connotazione politica. E’ un bene comune da difendere sempre, contro tutto e contro tutti.
Allora forse un sforzo, al di là delle connotazioni politiche, i comuni della zona (Rittana?) o la stessa Provincia di Cuneo potrebbero tentare di farlo giusto per fermare l’idiozia umana.
Ma se non sono le istituzioni a difendere i beni fondamentali dell’universo umano, come lo è, rimanendo a Paraloup e dintorni, il silenzio – cui ogni individuo deve essere concesso il diritto di ascoltarlo, di percepirlo, di metabolizzarlo, affinché proprio quello stato nascente interiore faccia innescare sane riflessioni sul nostro disgraziato mondo – a chi tocca farlo?
Di quel silenzio che proviene da lontano, amalgamato da quello appartenente al presente, di cui gli alberi, i sentieri, le sterrate, le vette e i versanti, come quelli della nostra anima, sono muti testimoni, ne abbiamo urgenza. Il silenzio degli sguardi di donne e uomini che ci hanno consegnato un mondo libero dall’oppressore, malgrado tutto. Ma io ci credo, al di là di tutto. A quel silenzio d’oro, ci credo e ci crederò sempre, libero da qualsivoglia colorazione politica.
Giuseppe Leyduan
(testo e immagini tratti dal post “Senza Limiti“ di Giuseppe Leyduan)
La storia continua il 25 aprile 2013:
http://camoscibianchi.wordpress.com/2013/04/28/noi-o-loro/