Montanari per forza
«Che cosa possono fare le montagne italiane per gli immigrati stranieri e che cosa possono fare questi ultimi per le nostre montagne?». Il numero di febbraio della rivista dislivelli.eu è dedicato al fenomeno dei “Montanari per forza”.
È dedicato ai “Montanari per forza”, ai “migranti che si fanno montanari” parafrasando lo storico Luigi Zanzi, ai nuovi abitanti delle Alpi e degli Appennini che si trovano a vivere in montagna pur non avendo scelto di andare a vivere e a lavorare nelle terre alte in base a forti motivazioni ideali o progettuali. Il numero monografico di febbraio 2016 della rivista dislivelli.eu, edita ogni mese dall’Associazione Dislivelli di Torino, prende spunto dall’incontro che si tenuto lo scorso 25 novembre a Milano, organizzato dall’Università di Milano-Bicocca e dall’associazione torinese con l’intento di studiare il fenomeno dell’immigrazione straniera nelle montagne italiane.
«A partire dallo scorso decennio nella gran parte dell’area alpina si sono registrati saldi migratori positivi con l’estero – spiegano Maurizio Dematteis e Andrea Membretti introducendo l’argomento – grazie alla concentrazione di alcune nazionalità in particolari porzioni di territorio, spesso legate a determinate attività produttive, di servizio o di trasformazione, in cui gli immigrati hanno trovato e trovano occupazione. Si tratta di 350.000 stranieri, persone provenienti in gran parte da Paesi extra-UE a forte pressione migratoria, regolarmente residenti, a gennaio del 2014, nei 1.749 comuni italiani compresi nell’area territoriale della Convenzione delle Alpi». Inoltre, un numero sempre crescente di comuni montani e organizzazioni sociali operanti nelle terre alte è impegnato nella corsa all’accoglienza dei bisognosi per far fronte all’arrivo sul territorio di cittadini in cerca di rifugio politico, in fuga da guerre, persecuzioni e carestie. «Sicuramente si tratta di persone portatrici di culture, progetti di vita, valori e pratiche frequentemente lontani dallo stereotipo di staticità residuale di cui la montagna è vittima ancora oggi – continuano Dematteis e Membretti –. Gli immigrati stranieri appaiono infatti un fattore di innovazione potenziale per le terre alte italiane, laddove, già da ora, sembrano costituire una delle risorse per il loro ripopolamento. Nel contempo, emerge con forza, laddove mancano politiche mirate e non si riesce a coinvolgere il maggior numero di attori locali, il rischio di conflittualità con i residenti autoctoni e di marginalizzazione sociale, in ambiti montani così trasformati in “spazi di retroscena” o di confino, per popolazioni di invisibili e di senza patria».
La rivista, scaricabile gratuitamente al link http://bit.ly/1nI3ec1, raccoglie i contributi di antropologi, sociologi, geografi e urbanisti, e quelli degli operatori impegnati quotidianamente sul territorio per organizzare l’accoglienza e cerca di rispondere alla domanda – volutamente provocatoria –: «Che cosa possono fare le montagne italiane per gli immigrati stranieri e che cosa possono fare questi ultimi per le nostre montagne?». Tra i tanti casi concreti riportati, quello della Val Pellice, in Provincia di Torino, dove nell’estate 2015 sono arrivati 58 africani sub sahariani ospitati presso il centro di accoglienza Crumière di Villar Pellice, e quello della Valle Mosso, in Provincia di Biella, dove l’Associazione Pacefuturo Onlus, in collaborazione con l’amministrazione comunale e la parrocchia, gestisce una settantina di richiedenti protezione internazionale nei comuni di Pettinengo e Ronco Biellese. Noto anche il caso della comunità romena di Pragelato, in Provincia di Torino, che si è insediata in Val Troncea agli inizi degli Anni Ottanta trovando lavoro nel settore edile ed è andata alimentandosi con l’esigenza temporanea di manodopera dettata dalle Olimpiadi Torino 2006.
Per saperne di più: www.dislivelli.eu
“Montanari per forza”: scarica la rivista al link http://bit.ly/1nI3ec1.